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Quando chiese e associazioni si fecero “ospedali da campo” per i profughi ucraini

A due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, resta sempre vivo il dovere della solidarietà con un popolo ingiustamente aggredito, alla ricerca di una pace vera, che garantisca la vita ed i diritti di ciascuno

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Sono passati due anni dall’inizio della guerra scellerata in Ucraina, voluta da Putin con il chiaro intento di distruggere un popolo e privarlo della sua sovranità e libertà.                              

Tanti di noi gli effetti di quella guerra li hanno visti scorrere in tv o li hanno letti sui giornali, altri li hanno toccati con mano, attraverso l’incontro con le mamme ed i bambini ucraini accolti a Reggio. Volti, storie, telefonate serali dei bambini che si chiedevano se il loro papà fosse ancora vivo, se casa loro fosse rimasta in piedi oppure fosse stata distrutta da una delle tante bombe piovute dal cielo o dai missili lanciati senza nessuna distinzione tra obiettivi militari e civili. Quegli effetti alcuni di noi li hanno visti nella tristezza delle mogli che si chiedevano se e quando avrebbero potuto riabbracciare i propri mariti.                                            

Accogliendo l’invito di Papa Francesco abbiamo pensato che non ci si poteva limitare a manifestare solidarietà e preghiera, pur importanti, per questo popolo oppresso. Era necessario rimboccarsi le maniche e agire per fare qualcosa di concreto. Per questo abbiamo deciso di promuovere un Comitato per i bambini e le madri dell’Ucraina, insieme alle parrocchie del Crocifisso, di S. Agostino, degli Ottimati, alcune associazioni, cooperative e sindacati.

Il Comitato per i bambini e le madri dell’Ucraina

Abbiamo creato inizialmente un piccolo corridoio umanitario, comunicando via web direttamente con le famiglie ucraine, attraverso chat di WhatsApp e con il tramite di loro connazionali residenti in città. Dai contatti attivati anche una dottoressa che assisteva numerosi bambini che dormivano nella stazione di Varsavia in giacigli di fortuna.

Abbiamo offerto disponibilità diffusa a chi voleva fuggire dalla guerra, dando avvio ad una grande gara di solidarietà, che ha permesso di dare ad una trentina di famiglie un riparo, una protezione, un abbraccio, nel tentativo di alleviare per quanto possibile traumi e sofferenze, che non sarà comunque mai possibile cancellare.

Nella maggior parte dei casi i profughi sono stati ospitati presso appartamenti messi a disposizione da privati e associazioni di volontariato nella gratuità. Realtà che si sono mosse tempestivamente per garantire vitto, vestiario ed altre forme di sostegno e di accompagnamento.  

In particolare, si è provveduto all’inserimento scolastico dei minori, con le difficoltà derivanti dalla carenza vistosa di mediatori linguistici e culturali, ad alcuni inserimenti lavorativi e prese in carico globali di tante donne. 

Il ritorno nei luoghi di guerra

Lo scorso anno gran parte di loro ha deciso di sfidare i rischi della guerra e ritornare in Ucraina, scegliendo di stare vicino a chi ancora combatteva.  Da loro, anche in questi giorni, arrivano messaggi che iniziano spesso con siamo ancora vivi, ma non sappiamo per quanto, insieme a foto e video delle loro città sventrate. Di tanti invece non si sa più nulla.                                            

Nonostante il tempo trascorso, la sofferenza di questo popolo continua, rafforzata da una resistenza che appare impari per la sproporzione delle forze in campo. Per questo serve una rinnovata solidarietà da parte di chi crede in una pace vera, che garantisca diritti e una effettiva giustizia.

Questo tempo non ha portato le diplomazie a studiare strategie differenti per risolvere i conflitti, anzi ha visto l’ennesima guerra in Medio Oriente, con un lungo rosario civile di vittime innocenti, specie bambini.

Non è tempo di accontentarsi dei like

Questo tempo di Quaresima dovrebbe essere per tutti, indipendentemente dal credo religioso, un tempo di introspezione e cammino. Diceva Mons. Tonino Bello che la via Crucis non è uno spettacolo da cui si può assistere stando comodamente dietro una finestra. Invitava a scendere in strada, a condividere l’esperienza della croce degli uomini, aiutando chi soffriva a portarla, per alleviarne il peso.

I conflitti non sono mai voluti dai popoli ma dai deliri dei loro governanti, si faccia quadrato attorno ad una politica estera comune foriera di pace, capace di scrivere una nuova storia di resurrezione civile e spirituale.

Non può esservi coesistenza tra i popoli senza un’idea condivisa di bene comune e rispetto dei diritti fondamentali. Non si può essere cittadini circostanti, ma responsabili. L’iniziativa portata avanti ha rappresentato l’abbraccio della città reggina ad un’intera comunità, a sostegno dei bambini e delle mamme ucraine.

Non è tempo di accontentarsi di like di solidarietà, di adesioni generiche e spersonalizzate alle battaglie sociali, è tempo di agire concretamente per fare la propria parte, come nel caso di questa esperienza.

Ciascuno cresce solo se sognato e noi vogliamo sognare la pace.

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  • Mario Nasone e Lucia Lipari sono rispettivamente presidente e vice presidente del Centro Comunitario Agape

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