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Centro Comunitario Agape

Madri sole e diritti negati

La tutela della vita passa anche dalla capacità delle istituzioni di fare rete con il Terzo settore e la Chiesa per garantire alle donne in difficoltà un concreto accompagnamento sulla strada dell’autonomia personale e della crescita dei figli

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Francesca (nome di fantasia) aveva già fissato l’appuntamento al GOM per l’interruzione volontaria della gravidanza. Troppo difficile e complicata la situazione personale: priva di un reddito e di una abitazione propria, non se la sentiva di mettere al mondo e crescere un altro figlio. Il giorno prima dell’appuntamento al GOM, però, Francesca ha deciso di non abortire, e il bambino è venuto alla luce.

L’abbiamo conosciuta perché ha bussato al Centro di ascolto dell’Agape per chiedere aiuto, portando il suo carico di disperazione per un futuro pieno di incertezze. È una donna provata, che ha detto coraggiosamente no all’aborto, ma che ora vive una maternità difficile, potendo contare solo e in modo limitato e temporaneo sull’aiuto di parenti. Si cercherà di accompagnarla, ma il sistema delle tutele e dei supporti attivabili sul territorio è praticamente inesistente.

I nuclei monogenitoriali sono in prevalenza madri con figli minori

Francesca è una delle tantissime donne che la statistica colloca nei nuclei familiari monogenitoriali. Secondo i dati ISTAT, i nuclei monogenitoriali con figli minori in Calabria sono circa 30.000, per la quasi totalità composti da madri con figli minori.

Storie di sofferenza e di abbandono, di pianti liberatori, di rabbia, quelle che arrivano ai pochi Centri di ascolto e di accoglienza, ma anche di tanta umiltà nel chiedere aiuto.

Donne di età e situazioni personali diverse, accomunate dal fatto di crescere i figli senza avere un compagno accanto. Vittime di violenza, vedove, separate, oppure divorziate o nubili, ragazze madri, tutte con uno o più figli minori. Volti che raccontano storie di una di una povertà ancora nascosta, invisibile. Dalla straniera con una bambina autistica e con altri due figli minori, a chi vive con tre figli in un alloggio-parcheggio senza acqua e luce, a chi ha vissuto sul posto di lavoro mobbing, ricatti, sfruttamento, molestie sessuali e discriminazioni per mano di chi vede nella donna sola una facile preda.

Non basta l’impegno della Chiesa e di alcune associazioni

La Chiesa di Reggio ed alcune realtà associazionistiche hanno dato e stanno dando accoglienza e sostegno a chi ha detto sì alla vita, ma, purtroppo, quando le donne varcano l’uscio della casa accoglienza o dei centri antiviolenza, fuori trovano muri e chiusure sia nelle istituzioni che nella comunità civile.

Dove vado? Cosa faccio? Come posso mantenere mio figlio? Sono queste le domande ricorrenti che fanno emergere la condizione drammatica di chi è senza un lavoro, una adeguata formazione professionale, una casa nonché dei punti di riferimento affettivi e dei servizi di sostegno per la crescita dei figli.

Basti pensare che non esiste una legislazione nazionale e regionale che preveda servizi e opportunità d’integrazione lavorativa e sociale, cioè una normativa in grado di recepire e rispondere ai bisogni di chi appartiene a questa fascia di disagio sociale che non ha nemmeno una tutela politica o sindacale, di là dagli slogan e delle manifestazioni di rito sulle pari opportunità e sulla denuncia delle discriminazioni.

E’ tempo che le istituzioni facciano la loro parte

Nel 2016 un progetto di legge su questa materia era stato approvato dalla terza Commissione del Consiglio Regionale, per poi arenarsi alla Commissione Bilancio per mancanza di fondi.

In un momento politico dove abbiamo addirittura un Ministero per la natalità ci aspettiamo scelte concrete che permettano un reale accompagnamento a queste donne per dare loro sostegno e autonomia.

Anche sul piano locale si potrebbe fare tanto se Comune, Consultori, mondo delle imprese e del volontariato riuscissero a fare rete per dare risposte. Lo testimonia l’esempio virtuoso di alcuni anni fa che ha permesso la nascita della Cooperativa SoleInsieme con l’attivazione di una sartoria in un bene confiscato che ha dato lavoro a tante madri sole. Un percorso da riprendere e rilanciare soprattutto per la politica chiamata a rispondere a queste sfide.

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