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Centro Comunitario Agape

L’abitudine alimenta l’indifferenza

Complice il bel tempo, continuano senza sosta i viaggi della speranza di migliaia di extracomunitari che fuggono da guerre, fame, miseria, e continua anche la strage silenziosa di bambini nelle acque del Mediterraneo

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Prima di leggere questo articolo vi chiedo di rispondere (a voi stessi) a questa domanda preliminare: siete papà, mamma, nonni, zii di un bambino di 4-5 anni, o molto amici di qualcuno che ha un bambino di 4-5 anni?

Probabilmente sì; ed allora pensate per un momento, solo per un momento, come potreste sentirvi se quel bambino, proprio quello che fa parte della vostra famiglia o che conoscete, dovesse morire annegato in mare.

Come vi sentireste, quanto è insopportabile il solo pensiero di una tragedia del genere?

Ebbene questo tipo di tragedie si ripete ormai con troppa frequenza nel Mediterraneo ed in prossimità delle nostre coste.

In cinquecento sbarcati a Reggio, tra cui un bimbo morto

E’ successo anche ieri, quando all’arrivo in porto della nave Dattilo che ha sbarcato circa 500 migranti, un padre disperato ha detto ai soccorritori: “se trovate il corpo di un bambino annegato è mio figlio, l’ho perso in mare, non sono riuscito a salvare anche lui come ho fatto con gli altri due”.

E quando, oltre ai vivi, dalla nave è stato fatto scendere il corpicino di un bimbo di appena 4 anni annegato.

È l’ennesima tragedia che appartiene alla storia infinita dell’immigrazione senza regole e senza un’accoglienza organizzata.

E ora che comandano quelli che sbraitavano e minacciavano i blocchi navali, questi venditori di fumo e di paure, questa storia dilaga senza più freni e viene spinta nel mare grigio e melmoso dell’indifferenza, con l’evidente obiettivo che se ne parli il meno possibile, perché oggi un fatto se non diventa notizia semplicemente non esiste.

Una strategia che pare riscuota un qualche successo, e non solo a livello nazionale, dove televisioni e grandi giornali ormai sembrano accorgersi del fenomeno solo quando accadono fatti eclatanti come a Cutro.

Chi avesse il tempo e la pazienza di scorrere i siti di informazione di Reggio Calabria e dell’Area dello Stretto scoprirebbe infatti che la notizia è relegata tra le brevi di cronaca, mentre il quotidiano più diffuso in città non gli dedica nemmeno un boxino in prima e la relega a pag.22, in fondo alla cronaca locale.

Bruna Mangiola

Ci abbiamo fatto l’abitudine e così diventiamo indifferenti

Una indifferenza alla quale non si rassegna Bruna Mangiola, da 10 anni coordinatrice (sul campo, non a tavolino, lì in prima linea sulle banchine del porto) dei volontari della Diocesi per gli sbarchi, che affida ai microfoni di ReggioTV un amaro sfogo:

“C’è un cadavere di un bambino di 4 anni. E questa è una cosa molto triste. Per loro, soprattutto per la mamma, ma anche per noi che facciamo l’accoglienza. Infatti, questa volta scherziamo di meno, parliamo di meno, non c’è quello spirito che c’è di solito. Abbiamo saputo che anche altre persone sono morte in mare e non sono riusciti a salvarle. È una grande tragedia umana.

La cosa che mi dispiace è che abbiamo fatto l’abitudine e non ci facciamo più caso a queste tragedie. Parliamo di altre tragedie, di altre stupidate che succedono, ma della gente che muore in mare non se ne parla più. Quando questa gente arriva, non arriva in crociera, non arriva con i vestiti firmati, sono disperati”.

Per Papa Francesco è la vergogna di una società che non sa più piangere

Una riflessione che sembra riecheggiare quanto ha scritto Papa Francesco qualche settimana fa al Vescovo di Agrigento a dieci anni dal suo viaggio a Lampedusa: “Carissimi, in questi giorni in cui stiamo assistendo al ripetersi di gravi tragedie nel Mediterraneo, siamo scossi dalle stragi silenziose davanti alle quali ancora si rimane inermi e attoniti. La morte di innocenti, principalmente bambini, in cerca di una esistenza più serena, lontano da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciarci indifferenti. È la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire l’altro. Il consumarsi di sciagure così disumane deve assolutamente scuotere le coscienze; Dio ancora ci chiede: “Adamo dove sei?”, “Dov’è tuo fratello?”

È tempo di essere coscienza critica

E forse è anche la radicalità di quella biblica domanda – Dov’è tuo fratello? – che fa essere Bruna Mangiola un fiume in piena e la porta a dire: Forse è il caso di cambiare registro. Noi che siamo qua da anni purtroppo ci siamo resi conto che anche le Istituzioni non riescono a tenere il passo: basti pensare che finalmente oggi siamo riusciti ad avere qualche gazebo per coprire i migranti lasciati sotto il sole, con delle donne incinta che sono state male”.

E dopo aver sottolineato il segnale importante dato dalla presenza dell’Arcivescovo Morrone sulla banchina, enuncia un chiaro proposito: “Noi dobbiamo essere coscienza critica, dire le cose come vanno e come non vanno, anche perché noi del Coordinamento sbarchi diocesano dobbiamo rendere conto solamente al nostro datore di lavoro che -alza gli occhi al cielo- sta lassù.”

Essere coscienza critica: una espressione ormai poco usata, che era di moda qualche decennio fa, ma più che mai attuale in un contesto comunicativo alla spasmodica ricerca non di persone che si confrontano, ma di seguaci ( follower); ed un contesto sociale, economico e perfino ecclesiale in cui associazionismo e volontariato sono spinti ( o scelgono di stare) in angusti recinti nei quali fanno fatica ad alzare la testa su orizzonti che vadano al di la del pur preziosissimo servizio ai più bisognosi.

E sì, ha proprio ragione Bruna: è tempo di un servizio ai deboli che non trascuri la riflessione politica e sociale e dia una spinta forte al rinascere della coscienza critica.

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  • Le foto di questo articolo sono tratte dal servizio mandato in onda il 13 luglio dal telegiornale di ReggioTV (https://www.reggiotv.it/canali/telegiornale/1311/telegiornale-13-luglio-2023)

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