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La meglio gioventù c’è ancora, e si dà da fare

Martina e Maria sono due ragazze comuni, volontarie da un mese in Servizio Civile a Casa Don Italo, una delle esperienze più significative di supporto a persone in difficoltà. Abbiamo chiesto loro di raccontarci come stanno vivendo questa nuova esperienza

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Prima di parlare della vostra esperienza, vuoi spiegare che cos’è Casa Don Italo?

Martina -Casa don Italo è una struttura residenziale a bassa intensità assistenziale- sociale- sanitaria, a carattere temporaneo o permanente, ha lo scopo di fornire una dimora stabile per persone adulte autosufficienti con diagnosi HIV/AIDS che abbiano difficoltà abitative e bisogno di aiuto a causa della malattia.

Che tipo di persone ospita la Casa?

Maria La persona deve essere maggiorenne ed autonoma, avere facoltà di intendere e di volere, in quanto chiede liberamente di essere accolta, accettare di convivere con altri soggetti portatori di problematiche relative all’ infezione da HIV. Poi deve condividere valori e stili di vita indispensabili per la convivenza: rispetto reciproco, solidarietà, rinuncia ad ogni forma di violenza sia verbale che fisica, collaborazione con gli educatori: il mancato rispetto di questi impegni può comportare l’allontanamento dalla Casa. Fermo restando che ogni persona può lasciare di sua iniziativa l’appartamento in qualsiasi momento.

Come passano la giornata gli ospiti della Casa?

Martina -La Casa, per quanto possibile, è organizzata sullo stile di una comunità familiare. Perciò le persone accolte si prendono cura degli ambienti, collaborando nel riordino e nell’ igiene quotidiana di locali, camerette, bagni, spazi comuni. Preparano i vari pasti, riordinano la cucina ed effettuano il lavaggio delle stoviglie. Supportati dagli operatori e dai volontari, si relazionano con i servizi territoriali per le loro necessità terapeutiche. Le altre attività ed il tempo libero sono gestite in collaborazione con gli educatori, i quali fungono da stimolo per il recupero della loro autonomia personale, ma anche per far loro riscoprire attività e passioni tralasciate nel tempo, (i disegni di questa pagina ne sono un esempio -n.d.r.) secondo una progettualità individualizzata.

Qual è stato il vostro impatto con questa realtà?

Maria– Tutto è iniziato durante un primo periodo di formazione durante il quale abbiamo potuto conoscere, per la prima volta, questa realtà. All’inizio di questo percorso ci siamo poste delle domande: “Ma come dobbiamo comportarci? Come prenderanno la nostra presenza nella loro casa?”

Martina–  Le risposte son venute da sé dopo essere riuscite a instaurare, conoscere e soprattutto saper ascoltare i loro racconti. Inizialmente non è stato semplice creare un legame da ambe le parti, ma giorno dopo giorno riusciamo nel nostro intento, aiutate anche dall’empatia, elemento fondamentale nell’instaurare un qualsiasi tipo di rapporto umano.

Sono persone con storie simili o c’è una profonda diversità tra loro?

Maria – Le loro storie sono molto diverse, ma tutte arrivano dritte al cuore, come quella di Francesca (nome fittizio) che vive questa realtà da molto tempo.

Durante i primi giorni si è dimostrata molto titubante e chiusa in sé stessa, ma la nostra presenza costante è servita a farci entrare nel suo piccolo, grande mondo. Dopo il ricovero della madre in manicomio, il padre decise di portare Francesca e la sorella in collegio, dove resterà fino all’adolescenza. Qui terminerà i suoi studi, diplomandosi, ma non in quella che era la sua più grande passione, ovvero l’arte, scelta ostacolata dall’ambiente in cui viveva.

Una volta catapultata alla vita di tutti i giorni, conosce un uomo che attua su di lei pesanti comportamenti a livello psicologico, infliggendogli diverse sofferenze. Quando finalmente viene arrestato Francesca viene presa in carico dai servizi sociali. Inizia per lei un nuovo percorso, scopre la sieropositività e comincia a vivere la sua “seconda vita” proprio a casa Don Italo.

Francesca porta con sé dal suo passato, dal suo vissuto, innumerevoli insicurezze, paure, numerose mancanze che generano in lei dei veri e propri disturbi. Con il passare del tempo comincia però a comprendere che questa volta è circondata da persone che vogliono aiutarla ed allora, grazie alla terapia e al supporto degli educatori, riprende in mano la vita che per troppo tempo aveva lasciato andare.

Martina – Di racconti da fare ce ne sarebbero numerosi, come quello di Roberto, scappato dalla guerra in Ucraina, o quello di Giovanna (entrambi nomi di fantasia), donna africana cacciata di casa dall’ex marito dopo aver scoperto la sua sieropositività. Le storie e le persone sono diverse, ma una cosa le accomuna: il bisogno di essere ascoltati, di una presenza costante nella loro vita che creda in loro e che non giudichi, ma li guardi con occhi di speranza e amore, poiché non sempre nella loro vita hanno avuto la fortuna di incontrare e ricevere questi sentimenti.

Eppure, nonostante questo, riescono a trasmettere tanto, molto di più di quello che possiamo dare noi a loro. Questi pochi mesi vissuti a Casa Don Italo ci hanno già fatto capire tante cose, una tra queste è che una volta entrati bisogna lasciar perdere i propri pensieri per esser pronti ad ascoltare i bisogni altrui, bisogni e desideri che spesso son stati repressi per paura di non essere capiti e ascoltati.

In conclusione, cosa vi aspettate da questa esperienza?

Martina a Maria– Rifacendoci a quelle che son state le parole di Don Italo Calabrò: “Nessuno escluso mai”, parole che sottolineano l’importanza di legami fatti di empatia, generosità, voglia di aiutare realmente il prossimo e lasciar da parte l’indifferenza, ci auguriamo che la nostra presenza in questa casa possa aiutare tutte queste persone a ricevere quello che purtroppo la vita non gli ha offerto.

NEM - Nessuno Escluso Mai
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