Quasi duemila giovani sono stati coinvolti per due anni in un progetto di promozione della legalità e della partecipazione, talmente coinvolti da spingerli a raccontarsi in un podcast dal quale emergono domande di senso per loro stessi ma anche e soprattutto per gli adulti
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Danilo Avila – Traghettare quel fresco profumo di libertà
Il Centro Comunitario Agape è noto per il suo costante impegno per i più emarginati, portato avanti nel solco dell’insegnamento del suo fondatore, Don Italo Calabrò.
Meno nota, invece, è l’attività che l’Agape svolge per promuovere la crescita dei giovani, ivi compresa l’educazione alla cittadinanza attiva ed alla partecipazione democratica.

L’ultima iniziativa rivolta ai giovani è stata un progetto-strumento (scritto dal Centro Comunitario Agape e dalla Cooperativa Azione Sociale, finanziato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito), che ha messo al centro gli studenti e la promozione della legalità.
L’idea alla base del progetto – suggestivamente intitolato “Tra Scilla e Cariddi: traghettare il fresco profumo della libertà”– è stata dare vita a un vero e proprio “movimento” tra due terre vicine, Calabria e Sicilia, andando oltre il recinto delle singole realtà locali.
I circa duemila ragazzi coinvolti, supportati da esperti, hanno fatto un percorso che li ha portati ad approfondire la cultura della legalità, la condanna del pensiero mafioso, la scelta consapevole, la lotta per la democrazia e la giustizia sociale.
Tanti i temi affrontati nell’arco di due anni, e fondamentali sono state le testimonianze di chi, per colpa della ’ndrangheta, ha perso i propri cari; di chi ha dovuto lasciare la propria terra, tanto amata; di chi ha dovuto cambiare nome e separarsi dai propri figli.

Ai ragazzi sono stati forniti strumenti critici, culturali e relazionali per scegliere la legalità, la giustizia e la libertà.
Molto forti sono stati anche gli incontri con ex detenuti che, raccontando la propria storia, hanno insegnato ai ragazzi il valore della legalità e il desiderio di libertà.
Di questa esperienza ci resta molto: innanzi tutto la voglia di continuare a lavorare, di avere fiducia in quelle persone che si nascondono dietro le teste dei compagni seduti ai primi banchi. Di credere nei ragazzi e lottare con loro, perché solo contrastando i soprusi potremo costruire una società giusta, fondata sui valori della democrazia, della libertà e della legalità.
Un’altra cosa importante che il progetto ci ha insegnato, è che per credere nei ragazzi bisogna ascoltarli. Particolarmente utile a questo scopo si sono rivelati i podcast realizzati con i ragazzi dal giornalista Sergio Conti.
Nei podcast i giovani parlano ai giovani, raccontano le loro esperienze, i loro vissuti, le paure, i sogni, la vita. Studenti che si sono messi in gioco, che hanno avuto il coraggio di raccontarsi e di sfidare gli adulti; che non hanno esitato ad aprire il loro cuore; che, di fronte alla difficoltà hanno saputo agire e chiedere aiuto. Ragazzi che hanno paura, che soffrono, che temono il giudizio, ma che hanno fame di riscatto.
Sergio Conti – Parlami di quando…
Ho trovato sorprendente come i ragazzi si sono aperti, scoprendo le ferite, a volte sanguinanti, di esperienze vissute davvero e non sui social, di passaggi che hanno segnato per sempre i loro percorsi e che camminano a bordo linea con la legalità.
Hanno raccontato le loro vulnerabilità: storie incredibili
di droga, di abusi, di violenze, di alcol, di gioco d’azzardo, fatti pericolosi quanto non mai, in contesti non facili, storie che stanno appesantendo la spensieratezza di questa età, rendendo tuttavia questa generazione consapevole e cosciente: dei rischi, delle disfatte, della morte a distanza assai ravvicinata. Ecco perché il progetto tra Scilla e Cariddi è stato semplicemente necessario. Necessario per capire, non i numeri, ma le persone. Necessario per svegliarsi dal torpore, come una doccia fredda che ti scuote al mattino presto.
Alessia racconta del suo percorso dentro e fuori dalla droga, in cui è caduta un po’ per gioco e un po’ per tristezza. «A volte è l’unico modo per sentirsi vivi» raccontano i ragazzi, che poi scoprono la sofferenza, il vuoto di senso che resta al termine degli effetti e soprattutto si mettono faccia a faccia col dolore dei genitori. «Ho capito che poteva esserci mia madre tra quelle che abbiamo incontrato e che piangono i figli ammazzati o uccisi da un overdose», spiega Francesca.
E ancora la storia di Alex, un vero hikikomori, costretto dai suoi familiari a uscire dalla stanza e a mollare il gioco e il computer. Francesco, un ragazzino di 13 anni di una piccola frazione della Calabria, che aiuta il papà nei campi e con gli animali e non va a spacciare perché «voglio dormire senza avere sulla coscienza tanti morti.

Un viaggio impressionante nelle nuove generazioni, un viaggio da compiere tutto d’un fiato perché dentro i podcast c’è la profondità, l’apnea, il fiato sospeso ma anche la risalita. E bisogna essere disposti ad ascoltare zitti e buoni. La durata è variabile intorno ai 20 minuti, ma ci sono dentro lutti, mortificazioni, perdite di senso della vita, ravvedimenti. L’aiuto da chiedere a mamma e papà e soprattutto genitori bisognosi di conoscere questi figli, questi figli amati eppure non capiti, questi figli che fanno di tutto per complicarsi la vita eppure desiderano tanto viverla, prenderla a morsi e goderne appieno. Questi piccoli che guidano un bolide ma non arrivano ancora ai pedali, soprattutto a quello del freno. Questi fiori che, ancora una volta, aspettano qualcuno pronto a curarli, ad accarezzarli senza sgualcirli. Ad ascoltarli. Magari un (im)perfetto sconosciuto che però ha posto loro delle domande di senso sulla vita e sulla felicità, domande che forse troppo spesso gli adulti dimenticano di fare.
I podcast saranno disponibili a breve su Spotify e sul portale della IAMU Comunicazione (www.iamu.it).