Tutti parlano dei giovani, tutti li evocano, molti li criticano, altri li giudicano. Sono pochi, davvero pochi, quanti li ascoltano. Ed allora per noi giovani è il momento di parlare di più, senza paura di essere vulnerabili
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Essere giovani oggi non è così semplice come molti pensano. Sentiamo dire che “abbiamo tutto”, che viviamo nel mondo delle possibilità grazie alla tecnologia, alle libertà conquistate da chi ci ha preceduto. Eppure, nonostante questo, tanti di noi si sentono persi, svuotati, pieni di ansie e paure. Ma da dove nasce questo disagio? Perché tanti ragazzi si chiudono in se stessi, si isolano, si sentono “inadeguati”?
Una delle cause principali, secondo me, è la pressione sociale. Fin da piccoli ci viene detto che dobbiamo essere i migliori: a scuola, nello sport, nelle relazioni. Viviamo confrontandoci costantemente con gli altri, e i social amplificano questa sensazione. Scorri Instagram o TikTok e vedi solo corpi perfetti, viaggi incredibili, vite da sogno. È facile sentirsi “meno” se la tua realtà è fatta di giornate tutte uguali, insicurezze, sogni confusi.

Poi c’è il problema dell’incertezza sul futuro. Ci hanno cresciuti dicendoci che studiare ci avrebbe garantito un buon lavoro e una vita stabile, ma la realtà è diversa. La precarietà è ovunque, i salari bassi, la casa un miraggio. È difficile fare progetti quando non sai neanche se l’anno prossimo avrai un contratto o se dovrai andare all’estero per trovare opportunità.
Un’altra causa importante è il peso delle aspettative familiari. Spesso i genitori, pur con buone intenzioni, ci caricano di sogni che non sono i nostri. Ci ritroviamo a inseguire carriere, obiettivi, stili di vita che non ci appartengono, solo per non deluderli. Questo può portare a un senso di frustrazione e, a volte, a veri e propri crolli emotivi.

Non possiamo dimenticare nemmeno l’isolamento emotivo. Viviamo connessi 24h al giorno, ma sempre più soli. Parlare davvero dei propri problemi sembra difficile: si ha paura di essere giudicati, di sembrare deboli. Così ci si chiude, si indossano maschere, si finge di stare bene.
E ho pensato che forse dovremmo cambiare rotta, direzione, dovremmo imparare a non spaventarci di alzare la voce, dovremmo imparare a pretendere i nostri diritti, perché le istituzioni le fanno le persone, gli uomini e le donne, e quegli uomini e donne devono ascoltare i giovani e le persone, perché sennò come fanno a capire e sapere quali sono i disagi di tutti? avranno forse la capacità di leggere nel pensiero?

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Prima di tutto dobbiamo imparare a parlare di più, senza paura di essere vulnerabili. Le scuole dovrebbero offrire più spazi di ascolto, con psicologi e tutor pronti ad accogliere chi ha bisogno. Serve educazione affettiva, fin dalle elementari, per insegnarci a riconoscere e gestire le emozioni, a non vergognarci dei nostri limiti.
Poi bisogna rivedere il rapporto con i social, imparare a usarli senza subirli. Forse sarebbe utile che a scuola si parlasse anche di questo: di come i social influenzano la nostra percezione di noi stessi, e di come difenderci da modelli tossici.
Infine, servono politiche concrete per i giovani: lavoro stabile, accesso alla casa, incentivi per chi vuole costruire qualcosa qui, senza essere costretto a partire. Perché non possiamo costruire un futuro se ci manca il terreno su cui poggiare i piedi. Serve un tavolo permanente sulle politiche giovanili, dove i giovani si possano sedere e confrontare, avanzare proposte a quelle donne e quegli uomini che fanno le istituzioni.
Lo hanno già fatto, ad esempio, nel Comune di Ancona
Nasce il tavolo continuativo delle politiche giovanili del comune di Ancona

Essere giovani oggi significa affrontare sfide nuove, diverse da quelle del passato. Ma non per questo meno importanti.
È tempo che il nostro disagio venga ascoltato davvero, non minimizzato o giudicato.
Perché dietro ogni silenzio, dietro ogni sorriso forzato, c’è un mondo che chiede solo di essere compreso.