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A scuola entriamo nel merito…delle disuguaglianze

Il recente rapporto Caritas ha ampiamente documentato come uno dei fattori decisivi che penalizza i più poveri e le persone in difficoltà sia la scarsa o nulla istruzione. E visto che in questi giorni si parla tanto di “merito”, NEM ha deciso di entrare “nel merito” dei fattori che determinano disuguaglianze e alimentano il disagio dei ragazzi e delle ragazze ed i fenomeni di abbandono, a cominciare dalla scarsissima diffusione del tempo pieno

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La campanella è suonata da appena un mese e mezzo e già da molte scuole del territorio sono arrivati numerosi segnali d’allarme da parte di docenti e dirigenti scolastici, preoccupati per le diverse situazioni di disagio riscontrate, che non di rado sfociano in comportamenti che vanno ben oltre i fenomeni di apatia o di bullismo per sconfinare in atteggiamenti para-mafiosi.

Accade in alcuni territori che i ragazzi al primo anno di scuola secondaria di primo grado minaccino i docenti con dei bigliettini, perché pensano che quello sia “territorio loro”. Altrove, invece, qualcuno manda un “avvertimento” bucando le gomme dell’automobile dell’insegnante reo di non aver chiuso un occhio sull’interrogazione andata male, e così via.

Naturalmente fenomeni del genere non avvengono solo in Calabria o in provincia di Reggio: le cronache dei quotidiani riportano proprio in questi giorni episodi avvenuti anche al Nord.

Dobbiamo concludere banalmente che, come usa dire, “tutto il mondo è paese”?

Un approccio simile sarebbe sbagliato, perché ogni territorio ha un proprio deformante e sarebbe un errore generalizzare il discorso, dando per scontato che in tutto l’universo-scuola ci siano le stesse forme di disagio.

Ebbene sì, non sarò io a farvi scoprire qualcosa che già si sa, ma qui in Calabria le forme di disagio sono differenti e da differenziare. Gli ultimi dati INVALSI, ma anche i dati Ocse Pisa ci confermano quanto sia elevatissima, inoltre, la dispersione scolastica ed inaccettabili i divari territoriali.

La scuola non può che essere inclusiva, specie per i ragazzi più difficili

Don Milani diceva che se la scuola perde i ragazzi più difficili è come “Un ospedale che cura i sani e respinge i malati!”: certi episodi che avvengono nelle scuole sono campanelli d’allarme per gli adulti, ma soprattutto per i responsabili politici, che devono considerare la scuola il presidio più importante nel nostro Paese, evitando di utilizzarla sono come vessillo comodo in alcune situazioni o in campagna elettorale.

Nei territori difficili il disagio culturale e sociale fa alzare muri che la scuola, nonostante il gran lavoro continuo dei docenti, non riesce ad abbattere perché non ha gli strumenti, la forza ma soprattutto le strutture adeguate. Alle famiglie ed agli alunni andrebbero garantiti dei servizi essenziali (insegnanti stabili ed adeguatamente formati, biblioteche, mediateche, palestre, mense) e la scuola andrebbe ripensata come un luogo aperto (la cosiddetta scuola aperta), poiché nulla è “bene comune” come la scuola.

Urge un’alleanza tra scuola, famiglie e territorio, che dia una linfa diversa, capace di contribuire allo sviluppo delle competenze cosiddette non-cognitive, sociali ed emozionali dei nostri bambini e bambine e far vivere, dunque, l’ambiente scolastico attraverso percorsi specifici e mirati, con il pieno coinvolgimento della comunità educante, partendo, innanzi tutto, dall’estensione generalizzata del tempo pieno. 

Il rapporto di Save The Children

Su quest’ultimo aspetto è illuminante leggere il rapporto di Save The Children “Alla ricerca del tempo perduto – Un’analisi delle disuguaglianze nell’offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana”, che analizza una serie di dati che dimostrano come il tempo pieno sia un ottimo strumento per combattere le disuguaglianze educative e la dispersione scolastica.

“Le province italiane – dice il rapporto- dove gli alunni, in particolare della scuola primaria, generalmente frequentano classi a tempo pieno (40 ore), sono anche quelle dove maggiori sono i punteggi nei testi INVALSI in matematica ed italiano, e dove minore è la quota di studenti che raggiungono il diploma con livelli di apprendimento insufficienti. Il tempo pieno non aiuta soltanto gli alunni a migliorare i loro livelli di apprendimento, ma può avere effetti positivi anche di medio e lungo periodo.

È cruciale, quindi, ampliare il tempo pieno,al fine di garantire almeno che tutte le classi della scuola primaria lo possano offrire. Questa misura, unitamente all’introduzione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni riguardanti il servizio mensa, al fine di garantire un pasto gratuito ed equilibrato al giorno per i bambini e le bambine della scuola primaria, potrebbe rappresentare un punto di svolta nella scuola italiana, contribuendo ad aumentare significativamente i livelli di apprendimento di tutti gli alunni del nostro paese, anche quelli che provengono da famiglie più economicamente e socialmente svantaggiate, riducendo in modo drastico la dispersione scolastica esplicita e implicita. Per garantire il tempo pieno in tutte le classi della scuola statale italiana, si stima come necessario un investimento annuo di circa 1 miliardo 445 milioni”.

Approfondendo il Rapporto, viene fuori che al Sud Italia l’accesso al tempo pieno nella Primaria è pari al 23,9% delle classi (che scende al 19,85% se si esclude il dato della virtuosa ma piccola Basilicata), ben lontano dalle percentuali non solo del Nord ( 46,48%) ma anche del Centro (41,4%).

Voi a questo punto vi chiederete: ma com’è possibile che questo Paese vada sempre a due velocità differenti? La domanda la rimanderei, come sempre, alla politica. Purtroppo, noi da operatori del terzo settore quello che possiamo fare è sicuramente essere vigili e pronti alla sfida, per citare  Vito Teti “allo spettro che si aggira per il mondo bisogna dare un corpo e un’anima. Capire qual è la vera sfida”.
Ritornando, invece, alla frase di Don Milani, continuando così per i nostri bambini e bambine, ragazzi e ragazze, vivere la scuola, vivere nella legalità, vivere il proprio territorio, sarà sempre più difficile e per i loro (a volte fantastici ed incredibili) dirigenti scolastici e docenti, la scuola da luogo di conoscenza, creatività, futuro, diventerà un ospedale non in grado di curare tutti.

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