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Storia di Pietro e Davide e di diritti negati

Lo stato della neuropsichiatria infantile in Calabria è una palese negazione del diritto alla salute sancito dalla Costituzione italiana e del diritto dei minori di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione stabilito dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia

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Pietro e Davide sono due bimbi quasi coetanei; Pietro ha due anni, Davide ventisei mesi, due in più di Pietro. Quello che li unisce è un certo modo di comportarsi, che sta creando non poca preoccupazione nelle rispettive famiglie. I due piccoli sono scostanti, hanno difficoltà a mantenere un certo livello di attenzione anche quando fanno un gioco semplice; faticano ad interagire con gli altri bambini ed anzi tendono ad isolarsi; quando sono nella loro stanza tendono a rimettere le cose sempre nello stesso ordine e diventano irrequieti e quasi impauriti se si cambia ambiente, se si va magari a cena da un’altra famiglia.

I genitori di Davide e Pietro da qualche tempo hanno cominciato a parlare del problema con altre coppie di amici; non sono poi mancate le ricerche su internet (anche loro hanno chiesto lumi al famoso “dott. Google”) , ed infine con la pediatra, la quale ha prospettato loro la necessità di approfondire presto e bene la situazione rivolgendosi al competente servizio dell’ASL, perché, ha detto la dottoressa, bisogna verificare se siamo in presenza di disturbi dello spettro autistico: sì, ha pronunciato proprio quella parola lì, autismo.

Da quel momento in poi, le vite di Davide e Pietro e delle rispettive famiglie hanno preso due strade completamente diverse: Davide, infatti, vive con la sua famiglia in provincia di Torino; Pietro e la sua famiglia, invece, vivono in provincia di Reggio Calabria.

Così Davide, quindici giorni dopo il quesito diagnostico formulato dalla pediatra, viene preso in carico dall’Equipe del Servizio di Neuropsichiatria Infantile territoriale ( composta da neuropsichiatri, psicologi, logopedisti, terapisti della neuropsicomotricità dell’età evolutiva, infermieri, assistenti sociali, educatori professionali) che lo sottopone ad una valutazione multidisciplinare, stabilisce il livello di gravità della patologia ed individua un Centro Autismo pubblico idoneo ad accompagnare il bambino e la sua famiglia nel difficile percorso di crescita che li aspetta.

I genitori di Pietro, invece, si sentono rispondere dal Centro Unico di Prenotazione dell’ASP che per la visita con il neuropsichiatra c’è da attendere qualche mese (solo il dottore, di equipe multidisciplinare non se ne parla) e che per l’eventuale presa in carico del bambino in un Centro di riabilitazione l’attesa varia dai 24 ai 36 mesi. Una prospettiva drammatica per una famiglia che ha urgenza di avere una diagnosi accurata e velocità nella presa in carico del bambino da parte dei servizi, perché, ha spiegato la pediatra, nelle patologie neuropsichiatriche infantili la velocità di intervento è decisiva per il futuro dei bambini.

Una volta in Calabria, davanti a patologie gravi, gli amici ti davano un consiglio che era insieme una sentenza senza appello per la sanità calabrese: “U megghiu mericu è u’ trenu” ( Il miglior medico è il treno), e ti invitavano a partire, ad intraprendere un “viaggio della speranza”. Oggi, per fortuna, per molti problemi sanitari non è più così, ma per la neuropsichiatria infantile il treno e l’aereo sono rimasti strumenti indispensabili per chi vuole una diagnosi completa e in tempi veloci, che poi altro non è che avere una diagnosi secondo quanto prevedono i famosi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), completamente disattesi nella nostra regione. E così per i genitori di Pietro la decisione è presto presa: un bel treno ad Alta Velocità e via a Firenze, dove c’è il fratello del papà di Pietro che li potrà ospitare il tempo necessario per la visita di valutazione del bambino da parte dell’Equipe multidisciplinare. Certo, ci saranno un sacco di spese da affrontare, ma prima viene il bambino, poi tutto il resto.

Morale della favola: Davide e la sua famiglia, italiani del Piemonte, vedono riconosciuti i propri diritti alla salute ed alla riabilitazione sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza; Pietro e la sua famiglia, italiani della Calabria, questi diritti se li vedono negati.

Le storie di singoli drammi hanno la capacità di far uscire dall’anonimato situazioni che solitamente sono nascoste dal mare sconfinato dei grandi numeri. E nel nostro caso i grandi numeri sono impietosi.

Infatti, estrapolando i dati nazionali 2021 riportati dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, emerge un quadro drammatico per l’intera Area Metropolitana di Reggio Calabria (ma il ragionamento vale per tutta la Regione):

su un totale di circa 95.000 minori, circa 19.000 presentano un disturbo neuropsichico;

di questi solo il 30% (circa 5.700) riesce ad accedere ad un Servizio di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza (NPIA);

di questi, solo il 50% (circa 2850 minori) riesce ad avere risposte terapeutico-riabilitative appropriate;

100 minori con disturbo neuropsichico mediamente ricoverati in ospedale non ricevono un trattamento appropriato perché non esistono reparti ospedalieri di NPIA;

i servizi di NPIA territoriali sono sottostimati per numero e per personale, con la conseguenza che solo un esiguo numero di minori con disturbi delle funzioni affettive e sociali o con disturbi post traumatici o di adattamento, è seguito dai servizi pubblici, mentre la maggioranza delle famiglie è costretta a rivolgersi ai servizi privati, pagando così costi molto elevati;

anche i servizi riabilitativi, ed in particolare i centri di riabilitazione ambulatoriale, sono molto carenti, con l’aggravante di essere distribuiti in modo disomogeneo nel territorio metropolitano, con alcune zone, come la Locride, particolarmente scoperte;

ne discende un dato drammatico: mediamente sono circa 1000 i bambini che rimangono in lista d’attesa per 24/36 mesi, e ciò rende vano ogni discorso sull’appropriatezza degli interventi, essendo la precocità della presa in carico il fattore più importante per garantire l’efficacia e la qualità degli interventi riabilitativi.

Spinti da questo stato di estremo disagio non più sopportabile, quindici tra associazioni di famiglie di minori con disabilità ed altri organismi impegnati nella tutela di questi diritti, nel novembre dello scorso anno si sono costituiti in un Comitato che si richiama all’art.24 della Dichiarazione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (vedasi comunicato). Nei mesi successivi, rappresentanti del Comitato hanno prospettato le gravi problematiche del settore dapprima all’allora Commissario ASP Scaffidi (qui il relativo comunicato stampa) e successivamente, assieme ad altre associazioni, al Commissario governativo alla Sanità Occhiuto (qui la nota inviata al Presidente della regione). C’è da sottolineare che le iniziative di cui sopra si caratterizzano per essere non solo atti di denuncia di una situazione insostenibile, ma anche e soprattutto documenti contenenti proposte concrete per risolvere i problemi, adeguando le strutture ed i servizi calabresi alle previsioni contenute nelle linee guida delle autorità sanitarie e nei famosi LEA. Tutta la problematica è stata poi riproposta in occasione della Prima conferenza regionale su “Salute mentale e Welfare di comunità” tenutasi all’inizio di aprile a Lamezia Terme su iniziativa di Comunità Competente, Forum terzo Settore e altre Associazioni della società civile.

Passati tutti questi mesi, a che punto siamo?

Una prima risposta è venuta dall’Asp di Reggio Calabria, ed è una risposta talmente debole e carente che non la si può definire nemmeno con la classica espressione di “pannicello caldo”.  Con delibera n.599 del 22 giugno, infatti, il nuovo Commissario straordinario ASP, dott.ssa Di Furia, a fronte di una carenza  di ben 12 medici strutturati ( che se ci fossero opererebbero a tempo pieno e quindi ciascuno di loro per 38 ore settimanali) ha previsto per la Neuropsichiatria Infantile appena 34 ore settimanali distribuite su tutta la provincia (esclusa Reggio Calabria), cioè meno di quanto farebbe un solo medico strutturato! Nessuna traccia, poi, delle Equipe multidisciplinari indispensabili per la diagnosi e la presa in carico dei minori.

E il Commissario straordinario alla sanità regionale? Il presidente Occhiuto, in occasione del già citato incontro di Lamezia, si è impegnato a recepire buona parte delle richieste si adeguamento ed implementazione del sistema della Neuropischiatria infantile nel Piano Operativo regionale, di cui si attende in queste settimane il varo. Vedremo se almeno stavolta alle parole seguiranno i fatti.

Pietro e i tanti bambini calabresi come lui non solo se lo meritano, ma ne hanno pieno diritto, perché alla sfortuna della patologia è insopportabile che si aggiunga anche quella di essere nati nel posto sbagliato.

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