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Sentieri, ponti e passerelle per credere in se stessi

Due anni di laboratori, esperienze, tirocini e viaggi: un percorso nuovo per motivare i ragazzi che non studiano e non lavorano

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La sigla- Se.Po.Pass. – che sta per Sentieri, ponti e passerelle – è un po’ ostica, ma esprime compiutamente il senso di un progetto durato due anni che ha coinvolto 25 ragazzi di due dei quartieri più problematici della città, Arghillà e Modena.

Il senso, ha spiegato Monica Tripodi, responsabile della progettazione, nel corso dell’incontro finalizzato alla rendicontazione sociale dell’intervento, è che ci sono tante strade per raggiungere la meta, l’importante è camminare.

Tra il contrasto alla dispersione scolastica e la formazione professionale, Se.Po.Pass*. è una “terza via” che ha cercato di intercettare ragazzi che hanno avuto esperienze scolastiche e di vita traumatiche, che non riescono a studiare e a concentrarsi e non sono nemmeno interessati ad imparare un mestiere. I ragazzi che appartengono ad  un mondo invisibile, in crescita, che sfugge alle anagrafi, ai censimenti della scuola, della giustizia minorile, delle istituzioni.

La rendicontazione di quanto fatto

Cristina Ciccone, coordinatrice reggina del progetto sviluppato pure a Napoli e Messina, racconta: “Siamo andati a cercare i ragazzi nelle case, nelle loro stanze, con educatori di strada, e non è stato facile fare interagire i due gruppi e superare la diffidenza di quelli che rifiutavano i rom”.

Giovanni Laino, illustre urbanista della Federico II di Napoli, progettista territoriale ed animatore sociale, che da 40 anni opera nei Quartieri Spagnoli con la sua omonima associazione impegnata nel lavoro di strada e nei servizi di sostegno alle famiglie, parla di politica preventiva e di futuro perché, sottolinea, i giovani che permangono in uno stato di abbandono, se diventeranno padri e madri saranno portatori di ulteriori, gravi problemi sociali. E poi parla del progetto come un risarcimento per ragazzi che hanno sofferto tanto, si sono auto-stigmatizzati, pensano di non valere nulla, provengono da famiglie disagiate, sono diventati apatici o rischiano di finire nelle maglie della criminalità.

E allora il metodo per coinvolgerli e motivarli è proporre loro percorsi assolutamente diversi da quelli scolastici e professionali che offrono trattamenti uguali per tutti. Qui la forza degli interventi sta nell’individualizzazione, nella presa in carico totale e nella costante attività di tutoraggio.

C’è una seconda possibilità per tutti

Nell’arco di due anni, i 25 ragazzi hanno fatto molte esperienze di gruppo, all’aperto e in mare, hanno sperimentato cose mai provate, come l’approccio critico al cibo e il recupero degli scarti in cucina con Slow Food, hanno imparato a fotografare e le arti circensi, ad esplorare grotte e torri costiere, viaggiare, gestire il proprio corpo e le emozioni.

L’equipe, formata da educatori e psicologi, li ha aiutati a definire abilità e inclinazioni; i laboratori con gli esperti ed i 19 tirocini presso pasticcerie, pizzerie, associazioni sportive, alberghi e tante altre attività hanno aperto future possibilità di lavoro per una parte dei beneficiari. Infatti, sebbene la collocazione lavorativa non fosse tra gli obiettivi del progetto, qualcuno è stato assunto dall’azienda presso cui ha svolto il tirocinio.

“Noi – spiega Laino- vogliamo essere come una sorta di grande cocktail di integratori; ciò che facciamo è aiutare i ragazzi a rialzarsi ridando loro la fiducia in sé stessi, far capire che c’è una seconda possibilità per tutti”.

Un percorso personalizzato

“Hanno colto la differenza con la scuola, dove se sbagli non sei buono a niente, te ne devi andare”, gli fa eco Serafino Celano, esperto di monitoraggio e valutazione, che ha evidenziato la novità del progetto nella verifica passo passo dei risultati.

I ragazzi sono stati ascoltati singolarmente, senza la presenza di educatori e tutor, per capire cosa non funzionasse o poteva essere migliorato nelle attività proposte. Hanno apprezzato ciò che li ha messi in gioco in maniera inusuale, come, ad esempio, la rappresentazione di sé attraverso il teatro,  utile a migliorare la relazione sia con gli adulti che con i loro pari.

Si è capito che bisogna investire soprattutto su tirocini più specifici ed ampi, sui percorsi individuali, sulla presenza di esperti e tutor esterni che interagiscano in maniera diretta e matura, per non innescare quelli che i ragazzi percepiscono come meccanismi di infantilizzazione.

Storie di riscatto e di nuove speranze

Molti non erano mai usciti dal loro quartiere, si sentivano grandi senza avere mai imparato a stare nel mondo. L’esperienza che più li ha entusiasmati è stata il viaggio, gli Erasmus a Milano, Trento, Messina, Napoli.

Cosimo racconta di avere visto per la prima volta la montagna in Trentino, di avere visitato le bellezze di Napoli e capito a Milano cos’è una metropoli. Ma, soprattutto, ha scoperto di essere bravo a tagliare e pettinare i capelli, e questo ora è il suo lavoro.

Kadhija, invece, pensava che un giorno sarebbe diventata una brava estetista. Il progetto Se.Po.Pass. l’ha intercettata nella comunità in cui viveva e l’ha tirata fuori dal periodo buio che stava attraversando. Sottolinea quasi stupita dei tanti progressi fatti e di essersi sentita ascoltata. Sperimentando, frequentando laboratori e imparando ad ascoltare sé stessa, ha capito che le piace lavorare nei locali, a contatto con la gente, e adesso spera di trovare un posto da banconista.

La sfida è dare continuità agli interventi e dare conto dei risultati

Che questo sia un dispositivo vincente, lo hanno confermato tutti i partecipanti al tavolo di confronto e rendicontazione sociale.

Per Maria Grazia Marcianò, responsabile Famiglie e minori dei Servizi sociali territoriali del Comune di Reggio Calabria, ragazzi di questa età non possono essere seguiti in un Centro di  quartiere come si fa con i bambini. Perciò bisogna proporre modalità nuove, rafforzare il servizio di Educativa di strada ed estenderlo anche nei centri storici, dove le famiglie si stanno smagliando e i giovani cadono nelle devianze.

Altrettanto importante è capire che si lavora con persone che non si possono abbandonare dopo avere creato legami ed ottenuto risultati: gli interventi devono essere strutturati e continui, è stato l’accorato appello delle educatrici Rosi Condemi ed Antonella Brancati

Quest’ultimo aspetto è stato rimarcato dal professore Laino, che da decenni parla di design istituzionale, di alleanze, di superamento della frammentarietà degli interventi e si batte contro quella che chiama “la politica delle bomboniere”, riferendosi alle azioni condotte per creare grande impatto e che poi non si capisce quanto lascino di effettivamente virtuoso.

“Non servono show, ma agenzie specializzate del fare. Preferisco azioni più costanti, sobrie – dice Laino –  che non vanno sui giornali e che collaborano con gli Enti locali. Anche perché il vero problema delle periferie è la fruizione dei servizi”.

Ne è sembrata convinta anche l’Assessore comunale al Welfare, Lucia Nucera, che a proposito di Arghillà e Ciccarello-Modena ha sottolineato che occorre dare una attenzione particolare ai giovani, intensificando i servizi e offrendo punti di riferimento che li aiutino a riacquistare fiducia in sé stessi e nel contesto in cui vivono.

Ottimo proposito, che però si perderà ancora una volta nel mare delle vuote promesse politiche se l’Amministrazione comunale non riuscirà a garantire la continuità dei progetti avviati e non ne esaminerà i risultati concretamente ottenuti: rendicontazione sociale e continuità degli interventi virtuosi sono elementi imprescindibili per dare una svolta al settore delle politiche sociali, che negli ultimi anni ha registrato un pauroso arretramento su tutta la linea.

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*Se.Po.Pass. è un progetto con capofila Associazione Quartieri Spagnoli Onlus e Cooperativa Sociale Res-Omnia, compartecipato da Agape Reggio Calabria, La Casa del Sole – Comunità Terapeutica, La Casa di Miryam Cooperativa Sociale, finanziato da Impresa sociale Con i Bambini

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