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Centro Comunitario Agape

Poveri e fragili intrappolati nel labirinto della burocrazia

Secondo gli ultimi dati Istat, la Calabria è la regione con il maggior numero di persone in stato di disagio economico, mentre l’Unione Europea prevede un aumento della povertà assoluta a seguito dell’abolizione del reddito di cittadinanza. Nel frattempo, chi ha diritto ai sostegni previsti dalle misure sostitutive del RDC aspetta mesi e mesi, vagando da un ufficio all’altro e cercando su internet ed in ogni dove risposte che spesso non arrivano

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Nel rapporto dell’Unione Europea sulla convergenza sociale riguardante l’Italia, in riferimento al sussidio denominato Assegno di Inclusione (ADI) – voluto dal  Governo, per sostituire il Reddito di Cittadinanza, che ha ristretto la platea dei percettori da 2,1 milioni a 1,2 milioni- leggiamo che “si prevede che l’Assegno di Inclusione determinerà una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile rispetto al precedente regime”, con la riduzione del beneficio per il 40% delle famiglie italiane e del 66% per le famiglie straniere residenti in Italia.

Previsione subito confermata dal recentissimo Rapporto Istat, che ci informa che ben 5,7 milioni di italiani sono in stato di povertà relativa (livello mai toccato negli ultimi dieci anni), di cui 1,3 milioni in stato di povertà assoluta.

Italiani, dunque, sempre più poveri. In particolare, i calabresi, che dal 12% dello scorso anno, sono diventati il 20,7 %, rendendo la Calabria la regione con più persone in stato di serio disagio economico.

Le misure sostitutive del RDC: un disastro annunciato

La Ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha replicato che la Commissione Europea “non tiene conto delle dinamiche di attivazione generale delle misure e della crescita della occupazione in Italia”. A parte che l’UE ne ha tenuto conto, sarebbe interessante che la Ministra uscisse dal linguaggio burocratico-politichese e fornisse dati concreti in grado di smentire l’Unione Europea e l’Istat.

Così come sarebbe interessante che la Ministra fornisse  finalmente dati in grado di dimostrare che la sistematica diffamazione dei percettori del RDC – additati alla pubblica opinione come furbetti nullafacenti – aveva un fondamento reale e non fosse solo il frutto di una strumentale propaganda massmediatica di uno schieramento politico.

La verità è che la ministra Calderone non ha dati che confortino le sue affermazioni per il semplice fatto che in questi primi mesi di applicazione, sia il SFL (Supporto Formazione Lavoro– destinato a coloro che teoricamente possono essere inseriti al lavoro) che l’ADI (destinato ai soggetti fragili o in condizione di svantaggio) si stanno dimostrando un disastro sia sul fronte delle opportunità di lavoro che su quello della mera percezione del sussidio necessario alla sopravvivenza dei fragili ed indigenti.

Basta fare un veloce sondaggio tra gli addetti ai lavori ed i Patronati o, più banalmente, farsi un giro su svariati siti social che si occupano dell’argomento per convincersi che i ritardi e le mancate risposte non sono il frutto di disguidi o semplici inefficienze, bensì il risultato di  un preciso disegno finalizzato a  dimezzare la platea dei beneficiari dapprima attraverso criteri più restrittivi di reddito e condizioni familiari, e dopo rendendo complicatissimo l’iter per accedere al sussidio.

Mancanza di coordinamento tra gli enti e piattaforme che non dialogano

Infatti, per quanto riguarda l’ADI, la mancanza di coordinamento fra gli enti (INPS, ASL, Comuni, Ambiti territoriali) fa sì che dall’inizio dell’anno molte delle domande presentate siano ancora in stato di sospensione, a tutto danno delle persone richiedenti l’ADI, che sono soggetti in condizione di fragilità economico-sociale e/o personale.

E ciò perché, nonostante il Decreto attuativo e le stesse circolari INPS stabiliscano che se gli enti – ASL ,Comuni, ecc.- non inviano la certificazione di competenza attestante lo stato di svantaggio e la presa in carico, la domanda vada accolta per silenzio assenso entro sessanta giorni da quando l’INPS ha richiesto loro la certificazione, spesso l’Istituto non procede all’accoglimento, lasciando nel limbo burocratico le persone, con un rimbalzo di responsabilità tra sedi territoriali e sede centrale, a conferma di come la burocrazia sia ancora una delle più gravi patologie italiche.

Si verifica poi che pur essendoci una piattaforma predisposta, spesso le ASL non sanno come inviare i loro dati, in quanto vanno individuati territorialmente gli operatori ASL da abilitare alla piattaforma INPS.

Senza risposta dalle istituzioni ci si rifugia su Facebook

A causa di questa gravissima situazione, non stupisce, quindi, che su Facebook siano nati gruppi dove chi scrive cerca aiuto, informazioni e notizie e dà testimonianza di condizioni che dovrebbero far vergognare i responsabili di questo caos, come quelle di persone che dormono in tenda, in macchina, invalidi gravi, che non hanno ancora ricevuto l’ADI pur avendone fatto richiesta e avendone diritto.

Altri segnalano persino pagamenti avvenuti per una mensilità e non per le successive, senza conoscerne i motivi, o tragico-grottesche situazioni come quelle di andare alla Posta, ritirare la Carta ADI e poi constatare che i soldi non ci sono. 

Un caos che non pochi degli stessi richiedenti vedono come voluto dai vertici politici, perché della vulgata neoliberista per la quale il povero è colpevole di essere povero è palesemente impregnata la mentalità dei governanti attuali.

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Questo articolo è una rielaborazione redazionale di un contributo inviatoci dal dott. Emanuele Mastrandrea.

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