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Meno tutele per i poveri e le famiglie fragili

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Per Chiara Saraceno, sociologa esperta di povertà, famiglie e minori, con la recente modifica del Reddito di Cittadinanza “non tutti i poveri avranno diritto al sostegno finché il bisogno persiste, e per alcuni anche quello temporaneo non garantirà neppure il soddisfacimento dei bisogni di base”

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Il Reddito di Cittadinanza (RDC) è destinato a scomparire per essere sostituito da due diverse misure: il Supporto per la Formazione ed il Lavoro (SFL), che partirà dal 1° settembre, e l’Assegno di Inclusione (ADI), che entrerà in vigore dal primo gennaio 2024.

Vi proponiamo alcune domande e risposte per capire cosa cambierà e se sono motivate le preoccupazioni di chi sostiene che l’obiettivo vero sia “fare cassa” sulla pelle dei più poveri

Secondo il Governo, le norme contenute nel decreto-legge n. 48/2023 (cosiddetto Decreto lavoro) consentiranno finalmente di distinguere le persone in stato di povertà tra occupabili e non occupabili. E’ davvero così?

Contrariamente a quanto si vuole far credere, la suddivisione non sarà tra occupabili e non occupabili, ma tra persone che vivono in famiglie con soggetti fragili (minorenni, ultrasessantenni, disabili), e quelle che vivono in famiglie dove queste figure sono assenti.

Alle prime sono garantire prestazioni simili al RDC (500 euro massimo, più, eventualmente, il contributo per l’affitto).

I percettori del Supporto per la Formazione ed il Lavoro (SFL? al momento in cui scriviamo non sappiamo ancora quale sigla sarà adottata ufficialmente per indicarlo), riceveranno invece esclusivamente 350 euro mensili (che certo non bastano a sopravvivere) e solo fino ad un massimo di 12 mesi non rinnovabili. Costoro sono dichiarati per principio “occupabili” per il solo fatto di avere un’età compresa tra 18 e 59 anni e non essere soggetti fragili o capi famiglia in nuclei con minori o soggetti fragili, senza alcuna valutazione delle loro capacità e condizioni individuali, prima ancora che delle loro competenze.

Insomma, l’occupabilità è determinata da una serie di fattori da valutare caso per caso, e non può essere stabilita sulla carta in base ad arbitrarie categorizzazioni che, peraltro, non trovano riscontro in nessuna analisi o teoria giuslavoristica, né nelle buone prassi in uso a livello nazionale e comunitario.

Per quanti siano effettivamente occupabili, le novità introdotte sono in grado di favorire un rapido inserimento nel mondo del lavoro, tale da consentire loro di ottenere una retribuzione dignitosa?

Ci sono diversi punti critici.

E’ stata prevista la creazione di una piattaforma unica che incroci tutti i dati, il  Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, ma sono anni che si parla di questo nuovo sistema nel quale dovrebbero affluire tutti i dati dei 20 sistemi informativi regionali esistenti.

Pensare che tutto ciò si realizzi in pochi mesi è pura fantascienza, anche perchè in materia di lavoro Stato e Regioni hanno poteri concorrenti.

Il percorso occupazionale ha come snodo fondamentale i Centri per l’Impiego, strutture notoriamente inefficienti che dovrebbero all’improvviso fare quello che non hanno saputo o potuto fare finora: anche qui siamo nel campo della fantascienza.

E’ stato rafforzato l’obbligo di accettare qualsiasi lavoro a tempo indeterminato su tutto il territorio nazionale (anche a tempo parziale purché non inferiore al 60 per cento dell’orario a tempo pieno) a condizione che siano garantiti i minimi contrattuali.

Per quanto riguarda le offerte a tempo determinato di qualsiasi durata devono essere accettati i lavori entro un raggio di 80 Km.

Il tutto a prescindere da qualsiasi valutazione sui tempi di percorrenza e sulla disponibilità di mezzi pubblici; in alcune aree del Paese, in particolare al Sud e nelle zone interne, occorrono ore per spostarsi anche su distanze relativamente brevi: è il tempo di percorrenza e non la  distanza il criterio corretto che dovrebbe essere preso in considerazione per valutare l’accettabilità di una proposta di lavoro.

La questione – già sollevata relativamente al RDC- anche stavolta è stata ignorata.

Per quanto riguarda i requisiti di accesso cosa succede adesso?

Per i destinatari dell’Assegno d’inclusione, i requisiti economici sono simili al RdC , tuttavia i figli adulti maggiorenni non vengono considerati ai fini dei requisiti e anche per l’ammontare del sostegno.

Se aggiungiamo che il peso dei figli minorenni nella scala di equivalenza- già svantaggioso con il RDC –  è stato ulteriormente ridotto, la situazione per le famiglie con minori peggiorerà e si potrà verificare, in determinati casi, addirittura l’esclusione dal sussidio.

Per i destinatari del SFL il peggioramento è notevole, perché il valore dell’Isee familiare per potervi accedere è stato abbassato a 6.000 euro, di fatto restringendo in maniera importante la platea dei potenziali beneficiari.

Quali sono i miglioramenti apportati rispetto al RDC?

Sicuramente l’abbassamento del requisito di residenza da dieci a cinque anni, modifica (peraltro imposta da una procedura d’infrazione europea) che farà rientrare nel sussidio tante famiglie straniere precedentemente escluse in maniera discriminatoria.

Positiva è poi l’attribuzione ai Servizi sociali comunali della valutazione multidimensionale della situazione familiare ed individuale per stabilire l’eventuale presa in carico dei servizi o l’avvio ai centri per l’impiego dei componenti adulti.

Infine è stata eliminata l’assurda incompatibilità tra sostegno al reddito e attività lavorativa, prevedendo che l’Assegno di inclusione sia compatibile con un lavoro nel limite massimo di 3.000 euro lordi annui.

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