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Il diritto di volare senza che nessuno ti spezzi le ali

Firmato a Napoli un Patto Educativo per bimbi, ragazzi e giovani promosso dalla Diocesi

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Don Mimmo Battaglia è uno di quei preti che, per essersi impegnati in maniera particolare a servizio di persone fragili, sono chiamati “preti di strada”. Il campo d’azione privilegiato di don Mimmo è stato il servizio ai tossicodipendenti. Nel 2016 il Papa lo ha nominato arcivescovo di Cerreto Sannita e poi, nel dicembre 2020, arcivescovo di Napoli. Lo abbiamo incontrato in occasione di un suo incontro di formazione con gli operatori della Piccola Opera “Papa Giovanni” (foto), per parlare di un progetto particolarmente innovativo ed ambizioso da lui promosso e spinto con particolare impegno.

Alla vigilia di Natale, lei ha proposto a tutte le agenzie, enti ed istituzioni che a Napoli si occupano di educazione la costruzione di un “Patto Educativo”, una iniziativa che proprio in questi giorni è stata suggellata dalla firma di tutti i soggetti proponenti. Perché e cosa risponde a quanti ritengono che questa iniziativa sia debordante rispetto al suo ruolo di Arcivescovo?

Ho iniziato ad avvertire la necessità di questo Patto proprio all’inizio del mio servizio di Vescovo a Napoli. Un pomeriggio mentre percorrevo a piedi via Duomo, ho incontrato alcuni ragazzini che giocavano con delle pistole finte. Ciò che mi ha impressionato non è il gioco in sé, ma l’imitazione realistica del linguaggio e dello stile camorristico, tale da lasciar intravedere che quella cultura non era loro estranea: in qualche modo la respiravano, la assorbivano, probabilmente senza degli adulti capaci di essere per loro filtri sani, utili a preservarli dal male orientandoli verso il bene.

E da quel giorno quanti volti di bimbi, ragazzi, giovani ho incontrato! Storie ferite, ali spezzate prima ancora di spiccare il volo, vite segnate dall’assenza di un mondo adulto sano e accudente: non possiamo andare avanti così! La scia di sangue che ha attraversato la città, procurando la morte a delle giovani vite e terrore e angoscia a interi quartieri, strade, famiglie, non può lasciarci indifferenti e inermi ad attendere chi sa cosa: ognuno deve sentirsi interpellato dal grido della città, ognuno deve dare il proprio contributo alla vita della comunità, ognuno deve essere per le nuove generazioni un segno di speranza e di resurrezione, a partire dal proprio ambito, dovere, ruolo.

Le ali dei giovani sono spezzate solo dalla Camorra, o c’è dell’altro?

Dobbiamo guardare in faccia, con coraggio, le tante fatiche e ferite della nostra comunità, iniziando dalle periferie esistenziali, da quelle non legate cioè esclusivamente alla geografia ma alla condizione sociale. La periferia, infatti, è un contesto in cui sono povere le relazioni solidali, scarsi i servizi, inadeguata la cura dei beni comuni, escludente la narrazione che si realizza nella scena pubblica. Il complesso di queste condizioni rappresenta lo stato di povertà ed emarginazione, cui si aggiunge la convivenza con vaste zone di illegalità, delinquenza, crimine organizzato. L’insieme di queste condizioni non è riconducibile alla sola povertà economica, ma anche alla condizione di esclusione sociale e culturale. Se la lotta alla povertà assoluta riguarda i responsabili delle politiche economiche e lavorative, la lotta all’emarginazione è un problema eminentemente culturale ed educativo e comporta l’impegno di intere comunità per colmare quel divario tra le condizioni di emarginazione ed una vita civile accettabile. Non possiamo più voltarci dall’altra parte. Non possiamo incontrare i volti di tanti bambini abbandonati a sé stessi e passare oltre, come se non fossero figli nostri, come se la loro cura non dipendesse anche da noi.

Sembra di capire che dal suo punto di vista non soltanto “nessuno di salva da solo”, ma anche che nessuna istituzione può pensare di farcela da sola a raggiungere i propri obiettivi

Il percorso di riscatto non può essere il cammino solitario di una realtà, foss’anche la Chiesa, ma un processo fatto di incontri inclusivi, di reciproche contaminazioni, di continui confronti tra istituzioni, realtà ecclesiali, mondo della scuola, università, enti del terzo settore, associazioni e società civile affinché i bambini, i ragazzi e i giovani di Napoli possano essere rimessi al centro delle politiche educative e del dibattito cittadino. È giunto il tempo della responsabilità costruttiva e per questo ora più che mai serve un impegno educativo capace di generare una cultura dell’inclusione, affinché nessuno sia lasciato indietro, né oggi né mai.

L’obiettivo specifico del Patto Educativo è quello di promuovere quelle forme di accompagnamento, cura e partecipazione di ragazzi e giovani e delle loro famiglie, adeguate a contrastare il degrado umano conseguente alla condizione di emarginazione sociale e povertà economica e morale. Ed è necessario che nelle situazioni più delicate e multiproblematiche le famiglie siano affiancate nella cura educativa da persone appassionate, formate, esperte di relazione, corresponsabilità e capaci di coinvolgimento.

Concretamente, come si articolerà il percorso?

L’idea è quella di costituire in ogni municipalità o territorio un Tavolo Educativo volto a creare e consolidare legami di collaborazione e confronto tra Scuola, Servizi Sociali Comunali, Parrocchie, Enti, Fondazioni, Cooperative e ogni altro ente impegnato nel mondo dell’educazione e dell’inclusione sociale. Il Tavolo Educativo diventa un vero e proprio laboratorio di co-programmazione e co-progettazione e rende concreto e realizzabile un nuovo approccio alle problematiche e al tema della povertà educativa, che può essere vincente solo se sistemico, sinergico e corresponsabile.

Non meno importante è la costituzione di una Agenzia per lo sviluppo delle pratiche educative inclusive che possa occuparsi di mappare, coordinare e monitorare i progetti educativi attivi in tutti i territori, attivando la costruzione di “comunità educanti” e di un contesto educativo diffuso. Va inoltre affidato all’ Agenzia per lo sviluppo delle pratiche educative inclusive il monitoraggio della dispersione scolastica in tempo reale, al fine di intervenire immediatamente nel momento stesso in cui la vita di un minore si immerge nell’invisibilità.

Il progetto è certamente affascinante ma anche molto ambizioso, e mi pare richieda non solo adeguati investimenti finanziari, ma anche (o, forse, soprattutto) la disponibilità di adeguate risorse umane

Indubbiamente è necessario investire su specifici processi di formazione degli educatori per implementare le competenze relazionali e pedagogiche, dando vita anche a nuovi profili professionali di educatori e docenti in grado di sviluppare il lavoro educativo in situazioni difficili e complesse anche attraverso la promozione di nuove metodologie educative che superino quelle tradizionali. In particolare, è importante che chi si prende cura sia capace di prossimità e di ascolto, di una relazionalità sana e di un’intenzionalità che riconosca ragazzi, adolescenti e giovani come protagonisti dell’oggi, capaci di contribuire all’arricchimento della comunità tutta.

Francamente il percorso del Patto Educativo mi sembra molto complicato, richiede una capacità per niente scontata di andare oltre il proprio recinto, abbattere muri e barriere

Occorre ripartire dall’etica della cooperazione. Tante volte e in ambiti diversi mi capita di sottolineare l’importanza di un passaggio capace di eliminare l’idolatria dell’individualismo per abbracciare un rinnovato senso di comunità, passando dall’io al noi. Senza questo passaggio ogni altra iniziativa o proposta sarà inutile. Nel decidere di camminare l’uno con l’altro per il bene dei piccoli, superiamo i recinti del sogno e ci ritroviamo ad essere segno, segno concreto di attenzione alle giovani generazioni, segno di responsabilità nei loro riguardi, segno capace di aggregare altri sognatori in questo camino comune che ha come obbiettivo il bene dei nostri ragazzi. Anche i fondi del PNRR destinati all’educazione e alla scuola, senza un’etica della cooperazione, della valorizzazione reciproca, dell’aiuto solidale rischieranno di diventare una manna lasciata marcire per terra.

A proposito di scuola e di servizi educativi, non crede che il primo passo da fare a Napoli ed in generale nel Sud sia quello di esigere una dotazione di asili nido e scuole materne adeguata agli standard europei e la scuola dell’obbligo a tempo pieno, condizioni che in molte aree del Nord del Paese sono garantire ed al Sud no?

Non c’è alcun dubbio che servizi per l’infanzia e scuola dell’obbligo a tempo pieno siano elementi essenziali di un percorso educativo e di crescita dei bambini e dei ragazzi: bisogna però avere lo sguardo lungo ed andare oltre, valorizzando la scuola non solo come luogo di apprendimento, ma come laboratorio sociale e comunità educativa partecipante, che attraverso una fitta rete di rapporti con il territorio possa ampliare e migliorare la propria offerta formativa. Valorizzando le numerose esperienze educative del terzo settore, del mondo ecclesiale, dello sport, la scuola può divenire un importante crocevia di connessioni, volte a creare una fitta rete educativa, un “sistema” di cura capace di contrastare a livello preventivo “o sistema” della camorra.

Lei pensa che il progetto del Patto Educativo possa essere replicato in altre realtà del Sud particolarmente esposte sia alla marginalità che allo strapotere mafioso?

Penso proprio di sì. Il presente e il futuro delle città in cui viviamo dipendono dall’impegno di tutti, dalla capacità che avremo di passare da un freddo individualismo ad un senso rinnovato e caloroso di comunità, dal desiderio fattivo di trasformare tanti piccoli “io” impauriti e distratti nella forza di un grande “noi”, la cui carica profetica può essere segno e strumento di una possibile resurrezione della nostra terra! Non è più il tempo delle promesse sterili, delle firme facili, degli slogan e degli eventi fini a sé stessi.

I bambini, i ragazzi e i giovani non possono più aspettare: non può aspettare Ciro, nato in un carcere da una madre detenuta e poi lasciato a degli zii che lo hanno abbandonato al suo destino solitario; non può aspettare Rosa, figlia di due genitori maltrattanti e abusanti che vive da anni in una comunità sognando una famiglia; non può aspettare Armando, che dalla cella di un carcere si riguarda indietro chiedendosi come mai nessun adulto lo abbia salvato quando iniziava a muovere i primi passi tra gli spacciatori sotto casa; non può aspettare Genny, che sogna di non dover lasciare la sua terra per paesi lontani e che chiede a tutti noi la possibilità di essere parte attiva del cambiamento e della rinascita della nostra città. E non possono aspettare i tanti Ciro, Rosa, Armando, Genny, che con altri nomi ed in luoghi diversi hanno il diritto di volare senza che nessuno spezzi loro le ali.

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