Brunori Sas e Otello Profazio: possiamo usare la loro vena artistica per descrivere la condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Calabria che emerge dal rapporto del Gruppo CRC sui diritti dei minori, nel quale l’unico indicatore positivo è quello relativo alla qualità dell’aria
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Sabina Licursi è professoressa associata di Sociologia generale presso l’Università della Calabria, dove si occupa di solidarietà; esperienze di volontariato; giovani e cambiamento sociale; socializzazione; deistituzionalizzazione dei minori; persone senza dimora.
L’abbiamo incontrata in occasione della presentazione del Rapporto del Gruppo CRC sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un rapporto dal quale emerge uno spaccato per niente rassicurante della realtà calabrese.
Professoressa, dal suo osservatorio privilegiato, quali sono i dati più significativi per i minori in Calabria?
Prima di esaminare i temi più interessanti che emergono dal rapporto, devo ricordare che, purtroppo, in Calabria quasi mai è possibile analizzare fenomeni e assumere decisioni a partire da banche dati pubbliche, attendibili e affidabili. Non esiste una cultura del dato e la produzione di informazioni nell’ordinario funzionamento dei servizi pubblici viene ancora considerata una perdita di tempo o, nella migliore delle ipotesi, un’attività da svolgere quando è stato fatto tutto il resto. Questo costituisce un serio problema per lo sviluppo sociale e politico della nostra regione, dove bisognerebbe investire nella produzione di dati anche su scala comunale per facilitare la definizione di interventi aderenti ai bisogni. Assumere decisioni su evidenze, sui risultati appunto di indagini metodologicamente inappuntabili, nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza è, pertanto, un’occasione da non perdere.

Fatta questa premessa non proprio rassicurante, torniamo al Rapporto CRC
Il primo tema che vorrei sottolineare è inerente al ruolo che la ricerca sociale può svolgere sulla promozione dei diritti di bambini e ragazzi. Spesso nella ricerca sociale domina uno sguardo adultocentrico, che tende a riconoscere come pieno, maturo, consolidato solo ciò che accade nella vita adulta, mentre quello che viene prima è considerato di minore importanza, quasi una fase di allenamento e preparazione alla vita adulta. Domina, inoltre, l’idea che gli interventi sugli adulti possano avere a cascata effetti positivi anche sulla vita dei più piccoli e dei giovani in generale.
Tuttavia, la sociologia dell’infanzia e dell’adolescenza tende a sottolineare il valore che bambini e ragazzi hanno nel presente, non per quello che saranno o faranno da adulti. Il Rapporto è uno strumento molto utile per sviluppare questa postura metodologica, e comprendere più adeguatamente le capacità che bambini e ragazzi hanno di entrare in interazione con il mondo degli adulti, e, quindi, di partecipare. Una capacità che si sviluppa se adulti e policy makers allineano le opportunità partecipative con le attitudini dei più giovani, nella consapevolezza che il loro coinvolgimento è responsabilità degli adulti, fa parte del compito educativo di questi ultimi.

Il Rapporto pone l’accento anche sulla contrazione numerica dei giovani. Oltre a tutte le problematiche circa la futura sostenibilità economica del Paese, questa tendenza che rischi comporta?
Il dato demografico ci dice che, con velocità differenti a seconda dei territori, bambini e ragazzi vivranno sempre più una condizione minoritaria. Il degiovanimento della società fa correre al Paese rischi pesanti sia dal punto di vista dello sviluppo economico che della tenuta del sistema sociale e delle politiche; queste ultime potrebbero orientarsi prioritariamente verso la domanda sociale proveniente dalla popolazione più numerosa, quindi adulti e anziani.
Ne deriva che ai più giovani occorre guardare con attenzione anche per evitare che la loro minore visibilità si traduca in una condizione di marginalità da un punto di vista delle scelte politiche, visto che hanno oggi e avranno in futuro meno potere di incidere sulle scelte collettive e potrebbero restare esclusi da diritti e risorse.
Il Rapporto consegna analisi a livello regionale, ma noi sappiamo bene che la regione Calabria al suo interno presenta innumerevoli diversità e squilibri, per esempio tra aree interne ed aree costiere e tra piccoli e grandi centri
Il Rapporto evidenzia il nesso tra le condizioni di vita di bambini e ragazzi e le caratteristiche delle famiglie, della scuola, del contesto territoriale di vita. Sapere in che tipo di società crescono i bambini, e quindi quali limiti strutturali o invece quali opportunità possono incontrare, è rilevante per decidere come e dove intervenire. Sarebbe un errore pensare di sviluppare interventi centrati su bambini e ragazzi, considerandoli un’unità omogenea e indipendente dal contesto. Il Rapporto, quindi, deve costituire uno stimolo affinché la Calabria si attrezzi per elaborare dati ed analisi di dettaglio che “leggano” le specifiche situazioni locali.

Secondo lei, qual è la criticità maggiore che riguarda le politiche per i minori in Calabria?
Tra i dati riportati dal gruppo CRC ce n’è uno che certamente merita una particolare attenzione. Si legge nel Rapporto che la percentuale di persone di minore età in povertà relativa in Calabria è del 45%, in aumento rispetto al precedente rapporto (32,7%), e superiore di ben 23 punti circa rispetto alla media nazionale. Si legge inoltre che il numero dei nuclei familiari monogenitoriali, tendenzialmente più vulnerabili, in Calabria è pari al 20% del totale, superiore al valore medio nazionale. Viene da chiedersi: si possono pensare politiche per i minori in Calabria che non siano anche politiche di contrasto alla povertà, o che con queste politiche dialoghino in maniera serrata?

Nel Rapporto la Calabria non è messa bene nemmeno per quanto riguarda la povertà educativa
Infatti. Su quasi tutti gli indicatori utilizzati la Calabria registra le posizioni peggiori: minori accessi a musei e mostre, meno diffuse l’abitudine alla lettura e la pratica di un’attività sportiva, e così via. Come meravigliarsi di questi dati? Le risorse delle famiglie sono ridotte, insufficienti in molti casi ad assicurare una vita dignitosa ai componenti, e gli attori della società civile non sono in grado di offrire interventi compensatori.
Neanche l’attore pubblico lo è: guardando ai dati relativi ai servizi scolastici ed educativi, si conferma il ritardo calabrese nella copertura di servizi socioeducativi per la prima infanzia, il gap in termini di tempo pieno nella primaria e di copertura del servizio mensa. Allora, viene da chiedersi quanto l’impatto su bambini e ragazzi non sia da contrastare attraverso interventi di infrastrutturazione del territorio, da porre quindi in termini di universalizzazione delle politiche educative e di welfare. Si torna al punto di partenza del Rapporto: le disuguaglianze territoriali hanno un impatto sulla vita di bambini e ragazzi. E queste disuguaglianze territoriali si riproducono non perché non ci sono gli strumenti per intervenire, ma perché questi sono meno utilizzati dove servirebbero di più.
Ogni progettazione locale dovrebbe considerare questo aspetto, non per rassegnarsi alla difficoltà del cambiamento dal basso, ma per esigere che la mobilitazione dal basso sia accompagnata da politiche di coesione del Paese.